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Il Tempo distrugge una memoria di ferro

Invecchiando è normale fare un po’ fatica a ricordare impegni e appuntamenti, ad imparare nuovi concetti o ad intraprendere nuove attività.

Entro certi limiti questa sorta di “stanchezza mentale” è un fenomeno normale che non deve preoccupare. Esiste però uno “stato di frontiera” o di transizione tra il normale invecchiamento e i disturbi neurocognitivi definito “MCI” (Mild Cognitive Impairement), caratterizzato da alterazioni delle funzioni cognitive, che riguardano:

  • attenzione;
  • concentrazione;
  • orientamento;
  • memoria;
  • fluenza verbale;
  • giudizio;
  • ragionamento;
  • pianificazione;
  • linguaggio;
  • lettura;
  • scrittura;
  • modifiche caratteriali.

La persona potrebbe riscontrare difficoltà nell’attenzione, nel memorizzare o ricordare nuove informazioni, nel risolvere problemi quotidiani, nel trovare le parole, nel ricordare date o eventi recenti.
L’MCI è infatti una lieve compromissione delle funzioni cognitive, che pur non interferendo significativamente con le normali attività giornaliere, è di maggiore entità rispetto a quella che statisticamente si verifica in altri individui di pari età e istruzione.
L’MCI può rimanere stabile, ma alcune ricerche indicano che circa il 10-15% delle persone con MCI tende a progredire verso disturbi neurocognitivi maggiori; questo ha attirato grande interesse dei ricercatori che hanno implementato numerosi studi clinici su molecole con azione neuroprotettiva utili negli individui ad alto rischio di evoluzione negativa dell’MCI.

In età adulta, un’alterazione delle funzioni cognitive causa elevate difficoltà nell’adattamento sociale e lavorativo, ed è spesso associata a problemi relazionali ed emotivi quali ansia, insicurezza e depressione. I disturbi cognitivi, infatti, possono essere di competenza non solo del neurologo, ma anche del neuropsicologo, del geriatra, dello psichiatra e dello psicologo.

La diagnosi si basa sull’anamnesi e su un esame obiettivo generale, ma anche sulle testimonianze dei familiari del paziente, che sono i primi ad osservare i cambiamenti nel comportamento della persona cara e sono direttamente coinvolti nella gestione del disturbo.

Come agire?

Per cercare di mantenere più a lungo e in modo ottimale le prestazioni intellettive, si può agire:

  • riducendo fattori di rischio (sovrappeso, fumo, diabete, ipercolesterolemia, ecc.) attraverso buone regole di vita (alimentazione equilibrata; attività fisica regolare; pochi alcolici, niente fumo, controllo del peso corporeo) e terapie mirate in caso di ipertensione, ipercolesterolemia e diabete.
  • altre strategie preventive preziose consistono nel mantenersi mentalmente attivi, grazie al “training cognitivo” che consiste nel dedicarsi ad attività stimolanti che tengano “allenato” il cervello, come: leggere, frequentare mostre, cinema e teatri, tenere i conti, fare i cruciverba ed esercizi al computer, seguire corsi, organizzare feste e viaggi di gruppo ecc. È altresì importante mantenere i rapporti con la famiglia e gli amici e tenersi aggiornati su ciò che accade.

Le terapie farmacologiche, ad oggi, non sono realmente efficaci nell’arrestare l’evoluzione patologica di un declino neurologico e cognitivo una volta che si è instaurato. Tuttavia, diversi studi clinici hanno confermato che il trattamento con integratori (o sostanze naturali) con proprietà antiossidanti e neuroprotettive, come l’omotaurina, le vitamine del gruppo B, la Luteina e la Zeaxantina , la L-acetilcarnitina, la Colina e la Vitamina E possono rappresentare un valido strumento nel rallentare i processi di invecchiamento, di declino del sistema nervoso centrale e di riduzione delle prestazioni cognitive.

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